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Leadership: teorie a confronto

Ognuno di noi nella vita e nel lavoro tende a seguire un modello, una guida, un Caronte individuale, riconosciuto come autorevole traghettatore verso il raggiungimento di obiettivi personali e professionali.

Nei gruppi sociali e ancor più nei gruppi di lavoro, si studia molto come si sviluppi la leadership, ovvero questa funzione di «guida» del gruppo che può assumere un individuo o un sottogruppo, basata sull’influenza sociale, e utile al perseguimento di obiettivi.

È importante sottolineare che senza una spontanea adesione, cioè senza un fenomeno di influenza sociale, non è appropriato parlare di leadership. Se un gruppo è obbligato ad obbedire a qualcuno, dotato di potere, quel qualcuno non sta esercitando una leadership. Solo se norme e comportamenti proposti da un individuo sono interiorizzate spontaneamente, facendole proprie, si può parlare di leadership.
La valutazione dei leader avviene su due versanti:

  • Da una parte il criterio oggettivo dell’efficacia, cioè la capacità del leader di fissare obiettivi e di portare il gruppo a conseguirli.
  • Dall’altra parte il criterio soggettivo della bontà, cioè la valutazione che ciascuno fa sulla base di propensioni e aspirazioni personali. Considereremo un buon leader colui che stabilisce obiettivi che condividiamo e utilizza, per conseguirli, metodi che approviamo.

L’idea che il leader sia una persona speciale, destinata al comando, ha una forte presa su di noi. Tuttavia, decenni di ricerca sui tratti distintivi dei leader non hanno prodotto risultati convincenti; non sembra che il leader sia qualcuno con una predisposizione naturale al comando, e neppure che esista una combinazione di tratti di personalità, una specie di «ricetta», che possa raffigurare efficacemente il profilo tipico del leader.

Qualche risultato maggiore si è ottenuto con una teoria dimensionale della personalità, chiamata dei «big five», in cui vengono individuate cinque grandi dimensioni: estroversione, apertura mentale, coscienziosità, stabilità emotiva e piacevolezza. Quelle maggiormente correlate alla leadership risultano essere le prime tre.

Una strada più promettente rispetto a quella dei tratti tipici di personalità del leader è quella che considera il rapporto tra un determinato stile di leadership e le situazioni contingenti. Le teorie della contingenza si occupano proprio di questo rapporto tra stile e situazioni.

I due stili riconosciuti per primi sono quello orientato al compito e quello orientato alla relazione (Fiedler, 1964):

  • leader orientati al compito sono poco attenti al benessere del gruppo e alla qualità delle relazioni, e danno la priorità al risultato;
  • leader orientati alle relazioni invece curano l’armonia del gruppo e il rapporto, mettendo in secondo piano il risultato.

Se definiamo le diverse situazioni in base al controllo, cioè a quanto l’attività del gruppo è strutturata, si può dimostrare che i leader orientati al compito sono più funzionali nei casi estremi, cioè quando i rapporti sono o molto buoni o molto cattivi e i compiti o molto ben definiti o molto mal definiti. Nel primo caso quando le cose nel gruppo vanno bene, non sarà necessario curare le relazioni; nel caso opposto, quando il gruppo è instabile e i compiti sono mal definiti, sarà utile una guida più ferma ed autoritaria che tenga il timone ben orientato ai compiti. Nei casi intermedi invece una leadership orientata alle relazioni è più apprezzata.

Una seconda teoria della contingenza è chiamata del «percorso-obiettivo» (House, 1996). In questa teoria si ipotizza che il leader abbia la funzione di aiutare il gruppo a trovare le strade per raggiungere i propri obiettivi, soddisfacendo due ordini di bisogni:

  • di strutturazione, quando i membri del gruppo non hanno chiarezza sugli obiettivi o non sanno come perseguirli;
  • di cura, quando i membri sono demotivati.

Nelle teorie sulla leadership basate sulla contingenza non si capisce quale sia la natura dell’interazione tra leader e gruppo: sembra che il leader si occupi del buon funzionamento e della buona salute del gruppo senza un apparente ritorno, il che è evidentemente distante dalla realtà.

Le teorie transazionali inquadrano la relazione tra leader e gruppo in termini di scambio. Per esempio, la teoria del credito (Hollander, 1958) prevede che i leader abbiano bisogno che il gruppo dia loro credito, cioè li riconosca e si fidi di loro, consentendogli margini di decisionalità e di autonomia.

Per ottenere questo credito, il leader deve:

  • adattarsi inizialmente alle norme del gruppo;
  • essere riconosciuto in modo democratico;
  • avere la stima del gruppo rispetto ai compiti da svolgere;
  • mostrare di condividere valori e aspirazioni del gruppo.

 

Nella teoria dello scambio leader-gregario (Graen & Uhl‐Ben, 1997) viene considerata la qualità della relazione tra il leader e i gregari. Relazioni di qualità più elevata prevedono che il leader fornisca al gregario una serie di «benefici» anche di natura emotiva che vanno al di là di quanto previsto dal contratto. In questo modo il gregario sarà più soddisfatto e più fortemente affiliato al gruppo, e sarà portato a dare più di quanto previsto dal «minimo sindacale» del contratto.

Dai leader ci si aspetta anche che siano agenti di cambiamento in positivo, che portino il gruppo a sviluppare nuovi obiettivi e a crescere.

La leadership trasformazionale è uno stile di leadership basato sulla capacità del leader di promuovere il cambiamento e la crescita del gruppo e dei suoi membri.

Generalmente, questa leadership è considerata come basata sul carisma, cioè su una grande capacità del leader di vedere in anticipo e perseguire nuovi traguardi, ottenendo con la persuasione che il gruppo lo segua nelle nuove imprese.

Sebbene il carisma tendenzialmente sia considerato come una specie di «dono naturale», ancora una volta possiamo considerare come invece possa essere il prodotto delle interazioni di gruppo, cioè una sorta di attribuzione che il gruppo fa su un suo membro dotato di caratteristiche prototipiche del gruppo stesso, nel quale gli individui si identificano. In un certo senso, l’idea è che il leader carismatico sia una creazione del gruppo.

Il leader deriva il proprio potere dal gruppo; più un gruppo considera valido e capace un leader, più gli attribuisce la capacità di condurre, e più sarà disposto a seguirlo. Ma come avviene questo processo?

Secondo la teoria della categorizzazione del leader ognuno di noi ha una serie di schemi o prototipi di come le persone svolgono una funzione di leadership, anche a seconda delle situazioni. Sulla base di questi prototipi tenderemo a riconoscere come leader più adeguato qualcuno a cui riconosciamo attributi quali la generosità, o la decisione, o la competenza, o il coraggio, e così via, e saremo portati a sostenere i leader che corrispondono al nostro prototipo.

Secondo la teoria dell’identità sociale (Hogg, 2001), i leader svolgono l’importante funzione di chiarificare al gruppo la sua stessa identità. I leader sono rappresentanti prototipici del gruppo, per avere una conferma sulla propria identità, soprattutto nelle situazioni in cui questa identità è più vacillante.

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